lunedì 1 gennaio 2007

L'Eternità e un Giorno

Il primo dell'anno... un giorno ideale per cedere a riflessioni sul tempo.
Dimensione interiore che la vita in comunità materializza.
Ricordo un film.
"Il tempo è un bambino che gioca ai cinque sassi sulla riva del mare". Questa metafora poetica apre il film di Theo Angelopoulos "L'Eternità e un Giorno".
Alessandro, mentre si prepara a lasciare definitivamente la casa sul mare dove ha sempre vissuto, ritrova una lettera di sua moglie Anna. La donna gli parla di un giorno d'estate di trent'anni prima. Questo dà inizio ad uno strano viaggio, dove il passato ed il presente di Alessandro dolcemente si fondono. Il cineasta greco ci porta a riflettere sui grandi temi dell'esistenza, l'opera fu scritta con Tonino Guerra e vinse la Palma d'oro nel '98 al Festival di Cannes.
"L'Eternità e un Giorno" è un film sul confine tra la vita e la morte, il silenzio e la parola, intesi come capacità di comunicare, di produrre significato nella propria vita, come nei rapporti con gli altri. Il film si apre con una lettera scritta trent'anni prima da Anna (moglie del protagonista, uno scrittore inquieto) in cui esprime tutti i suoi dubbi e le sue paure, tra cui quella di non sentirsi amata da un uomo sempre assente, immerso nel mondo chiuso della creazione artistica, alla continua ricerca di parole, emozioni e sentimenti, che erano lì a portata di mano, ma che non sapeva o non poteva vedere. Dissidio arte-vita dunque, ma anche sentimento del tempo, inteso come perdita, oblio e insieme come recupero memoriale, che solo l'artista può realizzare, strappando parole, ricordi, emozioni all'effimero e al transitorio. Contemporaneamente vediamo un altro protagonista, un poeta greco (forse Dionysios Solomos) che, tornato in patria, compra le parole dalla povera gente, per salvare dalla dimenticanza la sua madre lingua. La perdita dell'identità culturale e linguistica (a cui siamo sempre più soggetti in Europa), accresce la solitudine dell'artista.
Ma "L'eternità e un giorno" è anche un film sul cinema, perché tutto ciò che investe il tempo, investe il cinema, che non è altro che il racconto del tempo. Il film attraverso la rottura dei moduli narrativi convenzionali (discontinuità della narrazione, salti logico-temporali, circolarità narrativa, lunghi piani sequenza, ritmo lento), rimette in discussione il cinema, riformulando così un linguaggio nuovo, incontaminato, di confine appunto. Pertanto il film è anche una metafora sulla forza della lingua, delle tradizioni e della cultura come unico baluardo contro i modelli estetici, morali ed etici indotti dal prorompere della cultura del cinema americano sui nostri schermi; mentre Angelopoulos, seguendo una sua musica interiore si chiede ancora quanto dura il domani... Forse un'eternità e forse un giorno... da noi, al contrario, qualcuno si chiede se può essere l'ultimo nato, e quindi se tutto non sia un eterno ritorno.

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